Ricorso,  ai  sensi  dell'art.  127   della   Costituzione,   del
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   (c.f.   80188230587),
rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (c.f.
80224030587), presso i cui uffici domicilia in  Roma,  alla  via  dei
Portoghesi      n.      12      (fax      0696514000      -       pec
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it),  contro  la  Regione   Siciliana
(c.f. 80012000826), in persona del Presidente della Regione in carica
pro-tempore per la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
della legge della Regione Siciliana 8 febbraio 2018, n.  1,  recante:
«Modifiche all'art. 8 della legge regionale 23 dicembre 2000, n.  30,
in  materia  di  variazione  di  denominazioni  dei  comuni  termali»
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana (p. I) n.
8 del 16 febbraio 2018. 
    1. - La legge regionale 8 febbraio 2018, n. 1,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Regione  Siciliana  (p.  I)  n.  8  del  16
febbraio 2018, recante «Modifiche all'art. 8 della legge regionale 23
dicembre 2000, n. 30, in materia di variazione di  denominazioni  dei
comuni termali»,  ha  apportato  modifiche  all'art.  8  della  legge
regionale 23 dicembre 2000, n. 30, recante «Variazioni territoriali e
di denominazione dei comuni». 
    Prima di tali modifiche, il comma  2  della  norma  suddetta  era
formulato come segue: «Le  variazioni  di  denominazione  dei  comuni
consistenti  nel  mutamento,  parziale  o  totale,  della  precedente
denominazione, sono anch'esse soggette [analogamente alle  variazioni
territoriali dei comuni, disciplinate dall'art. 1 della stessa  legge
regionale - NdE] a  referendum  sentita  la  popolazione  dell'intero
comune». 
    L'art. 1, comma 1, lettera a), della l.r. n. 1/2018  ha  aggiunto
al comma sopra riportato le seguenti parole: «fatta eccezione  per  i
casi disciplinati dal comma 2-bis». 
    Lo stesso art. 1, comma 1, lettera b) ha introdotto  nell'art.  8
della  l.r.  30/2000  un  comma   2-bis,   contenente   le   seguenti
disposizioni: «Ai comuni sui cui territori insistono insediamenti e/o
bacini termali e' consentita l'aggiunta  della  parola  "terme"  alla
propria denominazione, previa deliberazione  del  consiglio  comunale
adottata a maggioranza dei due terzi dei consiglieri. Entro  sessanta
giorni dalla  pubblicazione  della  delibera  nell'albo  pretorio,  i
cittadini  del  comune  interessato  possono  esprimere  il   proprio
dissenso alla modifica di denominazione  mediante  la  presentazione,
alla sede dell'ente, di una  petizione  sottoscritta  dagli  elettori
iscritti nelle liste elettorali del comune. La mancata sottoscrizione
della petizione equivale all'adesione alla modifica di denominazione.
La delibera del consiglio comunale acquista efficacia  alla  scadenza
del termine di cui al presente comma, a condizione che non sia  stata
presentata una petizione  sottoscritta  da  almeno  un  quinto  degli
elettori iscritti nelle liste elettorali del comune». 
    2.  -  Per  effetto  delle  modifiche  approvate,  pertanto,   le
variazioni delle denominazioni  dei  comuni  termali  della  Regione,
consistenti nell'aggiunta della  parola  «terme»  alla  denominazione
originaria, oltre ad essere approvate dal consiglio comunale  con  la
maggioranza qualificata indicata dalla norma, non sono piu'  soggette
a referendum preventivo, da indirsi obbligatoriamente e  interessante
la popolazione dell'intero comune; la possibilita' che  gli  abitanti
del comune inciso dalla modifica  della  denominazione  si  esprimano
sulla  stessa  diviene,  invece,  eventuale,  siccome  rimessa   alla
presentazione di una petizione sottoscritta dagli  elettori  iscritti
nelle liste elettorali dello  stesso  comune,  entro  il  termine  di
sessanta giorni  dalla  pubblicazione  della  relativa  deliberazione
nell'albo pretorio, con la quale, peraltro, i sottoscrittori  possono
manifestare  soltanto  il  proprio  dissenso  alla  modifica;  mentre
l'adesione alla stessa viene considerata espressa per il  solo  fatto
della mancata sottoscrizione della petizione,  dunque  in  base  alla
semplice inerzia degli elettori. Inoltre l'efficacia  della  delibera
approvata  dal  consiglio  comunale  e'  condizionata  alla   mancata
presentazione  della  petizione  contenente  la   manifestazione   di
dissenso,  ovvero  dalla  circostanza  che  la   stessa   sia   stata
sottoscritta da meno di un quinto degli aventi diritto. 
    3. -  Le  disposizioni  di  semplificazione  della  procedura  di
variazione della denominazione dei  comuni  della  Regione  (peraltro
riguardante soltanto l'ipotesi di introduzione della  parola  «terme»
nel nome dell'ente), nelle quali si sostanzia la legge  regionale  in
esame presentano profili di illegittimita' costituzionale,  eccedendo
dai  limiti  della  competenza  legislativa  regionale  e,  comunque,
violando l'art. 133, secondo comma, della  Costituzione,  e  vengono,
pertanto,  impugnate  dinanzi  a  codesta  Ecc.ma  Corte,  ai   sensi
dell'art. 127 Cost. e dell'art. 33, primo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87, giusta deliberazione assunta in data 17 aprile 2018  dal
Consiglio dei ministri, per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
Violazione dell'art. 133, secondo comma,  della  costituzione,  anche
con riguardo all'art. 14 dello statuto della Regione Siciliana. 
    4. - L'art.  133,  secondo  comma,  Cost.,  nell'attribuire  alla
Regione il potere di istituire nel proprio territorio nuovi comuni  e
modificare le loro circoscrizioni e denominazioni, prescrive in  modo
chiaro e inequivocabile che debbano  essere  sentite  le  popolazioni
interessate. 
    Nell'interpretare la  disposizione  costituzionale,  la  costante
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte ha precisato che  la  suddetta
previsione comporta l'obbligo di fare  ricorso  alla  «indispensabile
forma che il referendum consultivo riveste  per  appagare  l'esigenza
partecipativa  delle  popolazioni  interessate»   (sentt.   279/1994,
107/1983, 204/1981). 
    Essa, inoltre, nel chiarire che lo stesso art. 133 Cost. ha  come
destinatarie le regioni a statuto ordinario, ha,  anche  di  recente,
precisato, altresi' che la norma «tuttavia vincola nella parte in cui
riconosce  il  principio  di  autodeterminazione  delle   popolazioni
locali, anche le Regioni a statuto speciale» (sent. 21/2018). Gia' in
precedenza, del resto, proprio con riferimento all'applicazione della
disposizione costituzionale alla Regione Siciliana,  la  Corte  aveva
affermato che la parte di essa «che e' invece diretta a garantire  la
partecipazione popolare delle comunita' locali  nei  confronti  delle
stesse regioni - per quel che riguarda le modifiche del loro  assetto
costituzionale, in quanto espressione  di  un  principio  connaturato
all'articolato disegno delle autonomie in  senso  pluralista  -  deve
ritenersi che condizioni  anche  la  potesta'  legislativa  esclusiva
della Regione siciliana nella materia, essendo  chiaramente  uno  dei
principi  di  portata   generale   che   connotano   il   significato
pluralistico della nostra democrazia.» (sent. 453/1989). 
    Puo' aggiungersi, del resto, che,  in  coerenza  con  i  principi
affermati dalla Corte, lo  stesso  Statuto  della  Regione  Siciliana
(art. 14), nell'attribuire alla potesta' legislativa esclusiva  della
stessa (lett. o) la materia del «regime degli  enti  locali  e  delle
circoscrizioni relative» (alla quale inscindibilmente si  lega  anche
la previsione contenuta nell'art. 15,  terzo  comma,  dello  Statuto,
concernente l'ordinamento degli enti locali),  espressamente  prevede
che  tale  potesta'  sia   esercitata   «nei   limiti   delle   leggi
costituzionali dello Stato». 
    5.  -  Certamente,  nell'affermare   che   il   principio   della
obbligatorieta'  della  partecipazione  popolare   nel   procedimento
inerente alla costituzione di nuovi comuni,  ovvero  alle  variazioni
del loro territorio o delle relative denominazioni, vincola anche  le
Regioni a statuto speciale, la  Corte  ha,  altresi',  chiarito  che,
queste ultime, in quanto titolari di potesta'  legislativa  esclusiva
in materia, sono libere di dare attuazione al principio  nelle  forme
procedimentali ritenute piu' opportune (sentt. 453/1989  e  21/2018).
Tuttavia, proprio a tale riguardo, la Corte ha  anche  precisato  che
deve comunque trattarsi di forme «anche equivalenti a  quella  tipica
del referendum, purche'  tali  da  assicurare,  con  pari  forza,  la
completa  liberta'  di  manifestazione  dell'opinione  da  parte  dei
soggetti  chiamati  alla  consultazione,  al  riparo  cioe'  da  ogni
condizionamento esterno nel momento del suo svolgimento e quindi  con
l'osservanza delle opportune forme  di  segretezza  adeguate  a  tali
fini» (sent. 453/1989), aggiungendo anche che la consultazione  delle
popolazioni  deve  necessariamente  avvenire  preventivamente  (sent.
36/2011 e, con  specifico  riferimento  al  principio  affermato  nei
confronti delle  regioni  a  statuto  speciale,  ancora  la  sentenza
453/1989). 
    6. - Orbene, la forma di consultazione eventuale che  la  Regione
Siciliana ha introdotto  con  la  legge  impugnata  con  il  presente
ricorso non soddisfa alcuna delle condizioni previste nel citato art.
133, secondo comma, nonche' desumibili dai principi  ricavabili  alla
luce dell'interpretazione dello stesso fornita dalla Corte. 
    Invero, da un lato, e' necessario rilevare che la stessa  Regione
Siciliana,  nell'esercizio   della   propria   potesta'   legislativa
esclusiva, ha individuato la forma  del  referendum  consultivo  come
tipologia  generale  di  consultazione  della  popolazione   per   le
variazioni territoriali e di denominazione dei comuni (cfr.  art.  8,
commi 1 e 2 l.r.  30/2000,  quest'ultimo  con  riguardo  a  tutte  le
variazioni di denominazione, prima della novella  introdotta  con  le
disposizioni impugnate,  e  tutt'ora  con  riguardo  alle  variazioni
diverse dall'introduzione della parola «terme» nel nome del  comune):
dal  che  puo'  desumersi  che   essa   abbia   pienamente   aderito,
autodeterminandosi    nell'esercizio    della    propria    autonomia
legislativa, alla forma referendaria, individuata da  codesta  ecc.ma
Corte come l'unica idonea a soddisfare il principio di partecipazione
per le regioni ordinarie e, percio', nel derogare alla previsione  di
tale forma, limitatamente alle variazioni di denominazione qui  prese
in considerazione, sia gia' per tale ragione  incorsa  in  violazione
della norma costituzionale qui invocata. 
    7.  -  Inoltre,  e  in  ogni  caso,  la  forma  di  consultazione
individuata dalle disposizioni della l.r. 1/2018  contrasta  in  modo
stridente anche con le caratteristiche che le modalita' di  audizione
della popolazione equivalenti al referendum consultivo, ammesse dalla
citata giurisprudenza della Corte per le regioni a statuto  speciale,
debbono comunque soddisfare. 
    Invero e' evidente che la presentazione, eventuale e  successiva,
da parte di alcuni elettori, di una petizione, nella quale, peraltro,
sia possibile soltanto manifestare il  dissenso  alla  variazione  di
denominazione in esame, non integra, innanzi tutto, gli estremi della
consultazione dell'intera popolazione  interessata  alla  variazione,
alla quale ha  riguardo  la  norma  costituzionale,  sia  perche'  e'
rimessa all'iniziativa di singoli elettori, sia perche' e'  volta  ad
esprimere  soltanto  una  delle  possibili  scelte  che  i  cittadini
avrebbero  a  disposizione,  ove  si  svolgesse   una   consultazione
referendaria o di tipo equivalente; ne' pare potersi ritenere che  la
semplice  inerzia  dei  rimanenti  elettori,  alla  quale  le   norme
impugnate attribuiscono il significato di manifestazione di consenso,
sia equiparabile ad una adeguata espressione di volonta', in  assenza
della indizione consultazione pubblica e ufficiale,  cui  l'art.  133
Cost. e i principi da esso ricavabili paiono avere riguardo  ed  alla
quale non puo' certo essere assimilata l'iniziativa di singoli, volta
a presentare e sottoscrivere una petizione. 
    Inoltre la  circostanza  che  la  presentazione  della  petizione
costituisca  un  accadimento  meramente  eventuale,  siccome  rimesso
all'iniziativa   volontaria   dei    suoi    presentatori,    risulta
incompatibile  con  la  natura   obbligatoria   della   consultazione
individuata dalla Corte. 
    Ancora, manca del tutto il carattere preventivo di  quest'ultima,
al quale esplicitamente hanno fatto riferimento le sentenze  453/1989
e 36/2011, evidentemente ritenendo che la  consultazione  integri  un
elemento costitutivo del procedimento di variazione, a  garanzia  del
principio di autodeterminazione e partecipazione  popolare  cui  esso
deve ispirarsi: infatti la legge regionale  impugnata  condiziona  la
mera  efficacia,  e  non  gia'  il  perfezionamento,  della  delibera
comunale alla scadenza del termine e  al  verificarsi  o  meno  delle
attivita' previsti dalla stessa legge. 
    Infine, e questa e' forse la notazione piu' rilevante,  la  forma
di consultazione individuata dalla  l.r.  1/2018  non  garantisce  le
«opportune forme di segretezza»  e  che,  secondo  la  giurisprudenza
della  Corte,  devono  porre  la  consultazione  al  riparo  da  ogni
condizionamento esterno nel  momento  del  suo  svolgimento,  perche'
possa ritenersi osservato il disposto dell'art. 133,  secondo  comma,
Cost., essendo palese e univocamente attribuibile  la  manifestazione
di volonta' dei sottoscrittori della petizione;  e  tale  risultando,
per esclusione, anche quella degli elettori che non sottoscrivano  la
petizione,  siccome  esplicitamente  equiparata  ad   adesione   alla
modifica di denominazione dalla legge regionale. 
    Del resto, anche se, nel caso in esame, la  petizione  si  svolge
successivamente all'adozione della delibera comunale  di  variazione,
alla stessa ben possono, a  maggior  ragione,  estendersi  i  rilievi
formulati, ancora una volta da codesta Ecc.ma Corte, allorche', nella
citata sentenza 453/1989, ha respinto la tesi dell'equiparabilita' di
istanze di cittadini dirette a promuovere  iniziative  di  variazione
territoriale (alle quali,  e  appena  il  caso  di  precisarlo,  sono
pienamente assimilabili le variazioni o integrazioni di denominazione
dei comuni - sentt. 237/2004 e 36/2011) alla  consultazione,  cui  fa
riferimento  l'art.  133,  osservando  che  e'   «evidente   che   la
sottoscrizione di dette istanze costituisce un  modo  di  espressione
dell'opinione che non offre garanzie circa la liberta' di ciascuno in
relazione a possibili condizionamenti esterni. D'altronde, in tutti i
procedimenti che presuppongono una consultazione popolare,  e  quindi
anche quando questa, come nella specie, non sia vincolante, altro  e'
il momento dell'iniziativa altro e' quello della consultazione vera e
propria, come risulta in modo inequivocabile, ad esempio,  sia  nella
disciplina costituzionale (art. 75 della Costituzione) che in  quella
ordinaria (legge 25 maggio 1970, n. 352)  in  materia  di  referendum
abrogativi, nonche' nelle leggi regionali che  hanno  disciplinato  i
referendum  consultivi  che  tengono  ben  distinti  i  due  momenti,
talche', anche se l'iniziativa dovesse risultare in concreto promossa
dalla maggioranza dei cittadini  aventi  diritto  alla  consultazione
referendaria, questa dovrebbe ugualmente celebrarsi con quelle  forme
di segretezza idonee ad assicurare la completa liberta' degli  aventi
diritto nel momento in cui  ciascuno  di  essi  deve  manifestare  la
propria opinione.». 
    8.  -  In  definitiva,  e  per  concludere,   alla   luce   delle
considerazioni che precedono, la legge  regionale  impugnata  risulta
costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 133, secondo
comma, della Costituzione,  anche  con  riguardo  all'art.  14  dello
Statuto della Regione Siciliana, poiche' prevede il  mutamento  della
denominazione dei comuni, sui cui  territori  insistono  insediamenti
e/o bacini  termali,  nei  termini  con  le  modalita'  nella  stessa
contemplate, senza  prevedere  che  vengano  previamente  sentite  le
popolazioni  interessate  mediante  apposito  referendum   consultivo
ovvero mediante forme equivalenti, tali da assicurare preventivamente
e con pari forza la completa liberta' di manifestazione dell'opinione
delle stesse con opportune forme di segretezza.